"Dalla reliquia al body tool": abstract dei temi trattati


L’ uomo contemporaneo sembra assuefatto all’idea della protesi emozionale, vale a dire un'estensione artificiale alla propria sensibilità, intesa sia come percezione sensoriale, sia come possibilità di provare emozioni.

Ogni nostro rapporto è oggi mediato da macchine di relazione; si tratta di congegni banalizzati dall’ uso diffuso che permettono di espandere la nostra limitatezza a percepire, vedere, ascoltare un qualsiasi nostro simile.

Sono il lubrificante che rende meno aspro l’attrito da distanza, vanno dal telefono cellulare ai più comuni software di relazione attraverso la rete. Ancor di più il più banale dei telefoni cellulari può essere considerato come un’ appendice inorganica, un prolungamento sensoriale, un facilitatore relazionale, un amplificatore dei sensi a cui nessuno sa più rinunciare.

Inoltre anche i più resistenti difensori dello stato di natura sono contaminati dall’idea diffusa che il corpo sia ormai inadeguato alla contemporaneità e necessiti di essere riprogettato
Il primo e più evidente sintomo di questa necessità è la possibilità alla portata di tutti intervenire radicalmente sulla carne umana. La chirurgia estetica non è più un’ eccezione per rabberciare traumi o difetti congeniti, ma piuttosto una necessità di adeguamento del corpo a un modello estetico che mai la natura si era sognata di aver immaginato.



L’intervento chirurgico, in sé cruento e raccapricciante, è spesso visto come una liturgia, un esercizio della volontà necessario per raggiungere la perfezione, quasi fosse un percorso mistico.
La convivenza di polimero artificiale con la materia organica di un corpo o di un volto non è più percepita come una devastazione, ma una naturale evoluzione dell’umano verso il superamento delle angustie cui è sottoposta la sua natura.

Ciò che vale per una signora che vuol combattere il suo decadere fisico, vale anche per il modello di virtù eroica di un corpo santo come quello di Padre Pio, a cui fu apposta sul volto una maschera di silicone.

Come accade per le nostre carni, oggi noi siamo perfetti imbalsamatori della nostra anima. Forse, ancor più esattamente, siamo asceti inconsapevoli nella quotidiana ansia di salvarla. Per ogni nostro ricordo abbiamo memoria espandibile, sappiamo organizzare le nostre emozioni passate in inossidabili files di foto digitali, di filmati autoprodotti, di brandelli di pensiero trasformati in messaggi brevi.

Tutto quello che non vogliamo finisca nel buco nero delle emozioni implose, lo riversiamo nella periferica della nostra coscienza; il codice binario preserva ciò che per noi è degno di non dissolversi, o perdersi nel labirinto delle sinapsi avvizzite dove si deposita la vita passata.
Ognuno di noi in realtà è, nella percezione del nostro social network, un certo numero di pezzetti di quell’essere umano che abbiamo affidato alla memoria digitale. E’ inevitabile che nella consuetudine di propagarsi attraverso reliquie di noi stessi, queste assumano nel tempo un valore superiore al nostro concreto esistere, o per lo meno questo avvenga nel sentore che di noi ha il nostro prossimo.


Non è da escludere che ogni singolo frantume del nostro alter ego sia ricostruito attraverso l’assemblaggio di tali reliquie, per questo è facile che ogni scheggia che di noi resta da un passaggio in rete, acquisti gradualmente un riconoscimento quasi “naturale” d’identità.

Quante icone elettroniche per ognuno di noi sono sintesi emotive di un essere umano iscritto a una delle nostre liste relazionali? Per associazione con i santini prodotti dai software, evochiamo chiunque faccia già parte del nostro circolo connettivo, e quindi emotivo o addirittura affettivo.

Per farci avvertire una presenza “reale”, a volte persino capace di colmare un vuoto profondo, basta una foto messa su Facebook o una riga di status o l’avatar attraverso cui vediamo abitualmente apparire un nostro contatto di Skype quando si connette on line.


Ogni arzigogolo mentale che ci supporta in tali circostanze è una protesi generata da un processo chimico. Abbiamo la fabbrichetta dei neurotrasmettitori che si alimenta dalla cineteca dei nostri pensieri malandrini.
Chissà invece se i manuali dei confessori si sono aggiornati sui peccati della carne digitalizzata. Quale senso dare al fatto che la carne sintetica renda debole quella organica? 

Una fetta importante del mercato delle passioni corporali si sta decisamente orientando verso una forma di consumo indiretta, anche se regna ancora la tradizionale lussuria che richiede scambio diretto di fluidi corporei. Tuttavia, una volta sperimentato che il corpo allucinato è egualmente capace di suscitare pulsioni e piaceri, anche il mercato della sensualità prezzolata propende fatalmente verso l’offerta di rappresentazione piuttosto che consumo.


C’è chi tende a ridicolizzare o giudicare patologica la pratica seduttiva attraverso strumenti elettronici che, almeno in una lettura superficiale, dovrebbero sostituire le tradizionali funzionalità sessuali. Come pure un degli appunti più frequenti che si fanno a chi usi potenziatori farmaceutici della propria virilità come il Viagra è che tale presidio alteri la naturalità dell’incontro. Ed è singolare che tale pensiero sia espresso da un genere femminile che oramai ha completamente evoluto il concetto di naturale rispetto alle proprie logiche di attrazione sessuale.

Non pare plausibile che tale pregiudizio nasca da una signora con il seno protesizzato, i fianchi liposutti, le labbra siringate, gli zigomi pomellati, le extensions e il french manicure in vetroresina, e magari (sempre più di moda) un po’ di laser per la vaginal rejuvenation. E’ giusto che questa sorta di terminator carne e polimero sollevi il problema se il suo partner amoroso abbia i corpi cavernosi solleticati da una pillolina blu?

L’ antropologo Alberto Salza, in proposito non trova che esista differenza tra una biomolecola che può essere intesa come un “body tool” e, per esempio, le lenti da vista, che non sono altro che silicio fuso. La differenza è materica, e non è comprensibile come mai una molecola che agisca sui vasi sanguigni in funzione sessuale debba essere meno presentabile in società di un aggregato di molecole che opera sulle percezioni visive deformate.

Ciò rivela come, laddove non esistano pregiudizi, l’ umanità abbia già superato il tabù dell’ inviolabilità del concetto di “naturale”. Già da tempo l’artificiale è entrato a far parte della famiglia dei nostri organi interni, delle nostre valvole cardiache, dei nostri nervi, delle cartilagini, delle ossa, delle giunture.